Oggi ho ricevuto il catalogo di Ikea.
E’ sempre un evento, voglio dire, non è che lo butti, lo sfogli come se fosse una rivista e rimane in casa per un tot di giorni, forse ha una vita più lunga il catalogo dell’Ikea che la rivista cui si è abbonati.
Il catalogo dell’Ikea è un potentissimo strumento di marketing, globale.
Sai che lo stesso sarà in altri trilioni di case, opportunamente tradotto e riadattato per il Paese di destinazione. Quindi è una questione decisamente sopra le righe, un investimento importante, anzi, forse L’Investimento.
“Vabbè quelli di Ikea c’hanno i soldi”, sì è vero, anche la Fiat, ma non è che ci rimani male se non ti arriva a casa il nuovo catalogo della 500, sbaglio?
Il punto è che #mannaggialloro sto catalogo è diventato pop e te lo infilano nella casella delle lettere e tu che fai? Non la apri la busta? Sì Maria, la apro!
Ora, io sono anni che mi batto – invano e in assoluta solitudine- per capire perchè nelle tabellari di un produttore di divani/mobili/cucine/sedie/tavoli/etc… italico deve sempre, immancabilmente esserci.
a) l’armadio con SOLO indumenti bianchi, beige neri e un paio di scarpe con tacco settodicimila languidamente abbandonato sul tappeto
b) la cucina di duemila metri lineari montata a caso in mezzo a un convento/villa/loft/basta che sia very huge a noi va bene
c) nella cucina sopra ci sono solo cose sparse MA ordinate
d) divani in location super top con sempre una tipa -vestita top, topissima-che guarda verso l’orizzonte in modo languido (‘zzo guardi zia?)
e) ambienti perfettamente costruiti, con i meravigliosissimi libri da tavolino -magari finti, come la libreria di mamma Kardashian- appoggiati un po’ ovunque perché oh, è chiaro che devi essere ricco e acculturato. Son costruiti così bene che alla fine non riconosci più quale azienda ha fatto: “quel divano che ciaone”
f) i bagni impossibili sono i miei preferiti, oltre a non esserci manco uno spazzolino (che fa brutto), son così grossi che ti viene vergogna solo al pensiero di riarredare il tuo. Ti senti proprio sfigato dentro.
Su Carlo Cracco che torna a casa io voglio DAVVERO soprassedere, ok?
Tutto ciò è strano, o meglio, a mio parere non rispetta affatto la bontà dei prodotti proposti e nemmeno i valori aziendali. Acquistare pezzi di arredamento implica certamente un certo sforzo, non penso che una tabellare faccia la differenza o sposti più di tanto i consensi da un produttore ad un altro, il fatto che esista un’oggettiva omologazione creativa mi spaventa, anche perché a livello di proposte non è così! Mentre Ikea nel suo catalogo fa un lavoro di storytelling egregio per il quale ci si pone l’obiettivo di promuovere una certa “cultura”, non solo il mero prodotto, le aziende del design italico rimangono in superficie, come l’olio.
Il design quindi non si vende con le tabellari, si vende perché gli investimenti in termini di sales marketing sono ingenti. La rete vendita, la formazione degli agenti, i manager commerciali, le fiere sono il fulcro vivo dei fatturati aziendali: la parola magica è sempre copia commissione.
Ma pensate cosa potrebbe accadere se delle ottime strategie comunicative abbracciassero un’ottima cultura commerciale (già presente).
Lago è un’azienda veneta che sta facendo una piccola rivoluzione in termini di marketing e comunicazione. Hanno capito che l’esperienza genera valore per questo la loro strategia è quella non solo di “piazzare” dei mobili in taluni luoghi, ma di farli VIVERE agli utenti. Utenti impegnati nelle attività della loro vita quotidiana che, però, incontrando e usando il catalogo Lago imparano a:
- riconoscere il brand
- riconoscerne tangibilmente la qualità
- testare le caratteristiche di prodotto
Uno dei progetti attivi si chiama DESIGN AT WORK ed è lo stesso concetto del mondo immersivo di Ikea, solo realizzato compatibilmente con le possibilità e le potenzialità dell’azienda. Decisamente una Best Practice.
Parliamo tanto di realtà virtuale, lifestyle marketing, esperienza e strategie multi media etc… eppure nella maggior parte dei casi la magica esperienza di una pennichella su un divano eccezionale rimane una chimera.
Con questo non voglio dire che il target di riferimento debba cambiare, ma il target deve allargarsi necessariamente puntando ad una marea cristallina di nuovi utenti pronti a immergersi nelle storie di qualità di cui il mondo del design è ricco, nuove possibilità di vendita, da rendere scalabili. Non è possibile continuare a mungere le venerande vacche grasse, il design necessita di un nuovo segmento Star e questo richiede un investimento intelligente. Faccio un esempio preso dal mondo della moda, Gucci è passato da Tom Ford ad Alessandro di Michele: cioè dal metrosexual allo scappato di casa, rende l’idea del cambiamento necessario?
Arte, letteratura, fotografia, illustrazione, narrativa sono mondi affini al design eppure i collegamenti son davvero pochissimi, sono le archi star che portano questi elementi nelle aziende e non il contrario, ultimamente solo a loro è stato dato il compito di posizionare il brand e questo lo trovo davvero pericoloso. Una volta le relazioni tra architetto e azienda erano condizione necessaria per fare innovazione, rompere gli schemi, generare nuove storie e stringere legami equamente vantaggiosi, oggi la concentrazione delle “idee” è in mano a pochi e sì, avere un nome forte da spendere è oggettivamente una leva di marketing, ma a mio parere non basta. L’azienda deve essere in grado di innovare a prescindere perché ha una vita, auspico, più lunga di quella del designer e deve presidiare un mercato anche attraverso la sua fascinazione: un buon prodotto ha una vita lunga e felice indipendentemente da chi lo ha disegnato, ma il suo progetto, sin dall’inizio, deve essere così valido da travalicare “la firma” e l’azienda è garante e promotrice di ciò.
Ikea ha moltissimi designer al suo fianco, ma questi sono chiamati per generare una costante innovazione di prodotto e non cannibalizzano la brand awareness.
Certo, la maggior parte delle persone ignorano chi diamine siano le archi star, è chiaro che tali nomi vivono e prosperano in un mercato verticale, ma io azienda devo acciuffare e far innamorare nuove persone. L’innamoramento arriva sempre nel punto vendita grazie ad abili venditori che sanno il fatto loro, sono la chiave di volta, eppure Ikea insegna che mi posso innamorare anche a casa mia, partendo dalla cassetta delle lettere.
Design italico, trova la tua cassetta delle lettere, comunica i tuoi valori, tira fuori le tue storie, manifesta le tue idee, cestina un tot di archi star, aprici le porte del tuo mondo e no, no, non abbiamo voglia di vedere solo i processi produttivi: manifestaci cultura e se ci parli di ispirazioni e genius loci non capiamo nulla.