Negli ultimi tempi si è molto scritto sulla questione professionale legata a chi fa del blogging un lavoro.
Ritengo che in Italia ci sia parecchia confusione sull’argomento, al contempo ritengo che questa confusione sia dovuta alla naturale espansione del settore: perchè alla luce del numero di player e volume d’affari generato, di settore si deve parlare.
Il punto focale è questo: nell’arco di pochi anni la Rete è stata letteralmente invasa da una moltitudine di persone che hanno organicamente condiviso pensieri, parole, immagini, video differenziandosi non solo in base agli strumenti offerti, ma hanno operato anche una scelta in termini di cluster e target cui diffondere i contenuti.
Il mondo dei media si è espanso all’ennesima potenza, si è frammentato in particelle minuscole che detengono in una certa qual maniera, un potere di influenza verso “l’utente finale”. Il rapporto tra media e utente è tuttavia liquido e mai unidirezionale perché – ci piaccia o meno- ognuno di noi è utente attivo in rete e pertanto “coinvolto” nelle discussioni.
Ragionando da un punto di vista aziendale diventa quindi problematico decidere come, ma soprattutto con chi, portare avanti e mettere a terra le strategie di comunicazione.
Posto che il NON comunicare on line deve essere una scelta strategica e NON una scelta dettata dalla diffidenza, proprio per il fatto che esiste un nuovo mercato con diversi player, e come tale contiene minacce e opportunità pertanto non considerarli inficia la creazione del valore, o, consentitemi, un’innovazione di valore.
Ciò detto e premesso, i player all’interno di questo nuovo ambito hanno essi stessi un problema di tipo strategico: il pricing. La definizione del giusto prezzo è, a mio parere, lo scoglio più grosso e nasce dal fatto che la maggioranza di chi opera all’interno di questo nuovo mondo digitale ignora di esserne parte integrante!
I prezzi, spesso, vengono posti senza criterio: affidandosi al caso o al cliente. Pertanto succedere che il prezzo viene fissato “dall’esterno” – ovvero è il cliente che fissa la sua massima disponibilità a pagare- questo è corretto? No, non lo è, almeno in senso assoluto, poi caso per caso un prezzo imposto può essere sufficiente.
Il lavoro di una persona che opera on line può essere assimilato a un professionista che vende “il frutto dell’ingegno”, pertanto un prodotto immateriale. La dottrina ci insegna che anche il frutto dell’ingegno ha un costo e certamente è di più difficile identificazione per il fatto che non esiste una supply chain fisica e industriale. Eppure un avvocato fissa il suo prezzo, così come un giornalista o un consulente, queste persone hanno costi fissi e variabili e in altrettanta maniera riescono, relativamente al loro lavoro, produrre delle economie di scala
La questione è altresì più pericolosa perché ci si ritrova di fronte a una situazione nella quale i player, non avendo coscienza del proprio posizionamento, “svendono” o regalano la loro opera dell’ingegno e dall’altra parte la massima disponibilità a pagare del cliente è molto bassa di partenza, ciò rischia di creare un corto circuito fin dai primi stadi della dialettica domanda vs offerta.
Quindi come si fa a fissare un prezzo? Qual è il giusto prezzo da fissare?
La risposta non è semplice, ma sarebbe opportuno sforzarsi ad utilizzare un metodo analitico serio e riflettere su un punto: il prezzo basso è un rifugio per quelli che non hanno la forza e la voglia di costruire qualcosa per la quale valga la pena pagare! E non lo dico io, lo dicono i guru del marketing internazionale.
Puoi fissare un prezzo basso, consapevole del fatto che avrai la stessa attrattiva di una “commodity” : per farla breve, il tuo pezzo sul blog o le tue foto valgono tanto quanto una penna di plastica che certamente non ha la stessa attrattiva di una Mont Blanc. Oppure il prezzo basso può essere una scelta strategica, perchè no, è lecito, però a questo punto significa che la tua opera dell’ingegno ha raggiunto una sorta di sistema altamente “scalabile”, detto in parole povere copi e incolli i testi, non produci materiale iconografico originale (scarichi le foto da Pinterest n.d.r) e il livello di ingaggio sulle tue pagine social è pari a zero (non ho scritto NUMERI, ho scritto INGAGGIO apposta perché il valore nell’ambito digitale è dato principalmente dalle interazioni e azioni dei follower, non dal numero dei follower)
Il punto focale è che è necessario ragionare prima di tutto in termini di valore offerto. Il valore non si fissa a caso, no di certo.
Nella mia esperienza posso dire che ci sono dei punti fissi/domande sui quali ragionare seriamente per poi procedere a dare un valore concreto:
a) Produco dei contenuti originali?
b) Come viene percepito il mio “agire on line”?
c) Che valore do al mio tempo speso a produrre contenuti originali?
d) Qual è il mio elemento distintivo nel cluster in cui opero?
e) Offro una proposta innovativa?
f) Preferisco agire da leader o da follower?
Rispondere con coscienza a queste domande già può essere d’aiuto nel sciogliere dubbi e perplessità, o quanto meno per fissare un prezzo di base oltre il quale NON scendere mai.
Gioca anche un ruolo fondamentale lo sfruttamento della propria immagine. Senza giri di parole: la faccia ha un valore, metterci la faccia ancora di più. Kate Moss è diventata milionaria con la sua faccia, poche storie. Chiaramente questo punto è direttamente correlato alle domande precedenti e sottende a una proposta di stile, una linea editoriale precisa e pertanto si arriva al punto successivo.
g) La mia faccia è un brand, in cosa può essere più influente e quindi valere di più?
Non dimentichiamoci poi di tutti quegli aspetti fiscali e strutturali che NECESSARIAMENTE devono essere conteggiati. Lo Stato è un elemento importante nella definizione del prezzo- se vuoi spuntarci un guadagno- e deve essere conteggiato! Altrimenti si rischia di perdere tutto quel poco che si è racimolato e probabilmente già speso, in tasse.
Altri elementi da considerare sono di ordine più tecnico: chiaramente il prezzo sarà più alto se parte del contenuto viene fatto da terze parti, ma questo è legato strettamente alla proposta di innovazione di valore che si vuole offrire in primis ai propri lettori e al cliente che busserà alla vostra porta.
La mia è un’analisi davvero breve e semplice, ma spero possa esservi di aiuto.
Nei prossimi post parlerò invece di come il mercato “digital” si è diviso e quali sono, oramai, i media ABOVE THE LINE e quelli BELOW THE LINE, una divisione che ho preso a prestito dal marketing classico, ma che è utile – a mio parere- per fare delle scelte strategiche a livello sia di Azienda che a livello di Player.
Chiara
