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Quando tra il Settecento e Ottocento i baldi giovani dell’aristocrazia e alta borghesia del tempo partivano per il “Gran Tour”, si commuovevano per la Grande Bellezza cui avevano il privilegio di assistere e vivere. Sappiamo grandi cose di questi viaggi lunghi dal Nord al Sud Europa perché ce li hanno raccontati e tramandati.

In realtà anni, secoli dopo, altri baldi giovani si avventuravano nella medesima impresa, ma con molti meno soldi e molta meno poesia, ma con lo stesso spirito a metà strada tra il gigionesco e l’avventura: l’Interrail. Ve lo ricordate? Prima delle low cost, a metà degli anni 90, il turismo senza soldi doveva “arrangiarsi”, diciamo così, su rotaia, ma soprattutto e su tutto: dovevi avere tempo, per ovvie ragioni di copertura delle distanze.

Poi a metà degli anni Novanta sono arrivate le Low Cost Airlines, da quel momento in poi è cambiato tutto perchè, de facto, le low cost hanno aperto un mercato che prima non esisteva. In parole economiche c’è stato un cambio di paradigma enorme su tutto ciò che si relazionava col turismo, una rivoluzione copernicana. La possibilità di viaggiare si è spalancata ad un moltitudine di persone che o non viaggiavano – per ragioni di budget – o se lo facevano il comportamento di acquisto e fruizione del viaggio era sporadico e certamente più complesso perché le agenzie di viaggio erano i mediatori dell’acquisto. La metà degli anni ’90 scioglie totalmente le briglie al turismo perché con la coincidente entrata di Internet nelle nostre vite, ogni modello preesistente viene messo in discussione.

Quando parliamo di come sarà il turismo da qui in poi, dobbiamo ricordarci di quello che è stato e di come si è trasformato negli ultimi 30 anni. Questo esercizio è importante per comprendere lo scenario complessivo: dove eravamo, dove siamo e tutto il percorso nel mezzo.

Il 2020 segna un’altra rivoluzione copericana nel turismo: il suo fermo totale, una cosa mai successa. Non si può viaggiare ad ogni livello di reddito e questo pone un freno senza precedenti di tutto l’indotto che genera (dati 2019) circa 2,9 trilioni di dollari e che per il 2020 si supponeva con una crescita ulteriore del 4%. Quindi, per dare altri dati, si sta perdendo quasi il 10% del PIL mondiale.

Ho scritto questi dati per mettervi in ansia. Ma l’ansia non è mai una buona consigliera.

Prima di sto macello del Sars-Cov-2, una delle parole più spese a livello strategico nel comparto turistico era ed è sostenibilità, a buona ragione. Avendo in giro per il mondo più o meno 1,5 miliardi di persone che viaggiano, delle quali tutte -prima o poi- vorranno vedere Venezia…qualche scompenso lo genera. Non è MAI stato così, e quali sono gli scompensi del turismo? Non è difficile.

Inquinamento; gentrificazione; disneyficazione; disequilibri ambientali; precarietà nel lavoro; eccessiva capitalizzazione ed altre amenità di questo genere.

Bisogna smettere di viaggiare? No. In medio stat virtus, ma questa discussione prima o poi bisogna farla.

Questa settimana ho condiviso nelle storie IG la questione Air BnB. Molti non sapevano del forte impulso alla gentrificazione che la piattaforma ha generato più o meno inconsapevolmente, ma ho forti sospetti che sapesse tutto, ma che per mantenere il capital gain abbia bellamente chiuso gli occhi e la bocca.

La gentrificazione se controllata, non è un fenomeno cattivo: molti quartieri con dubbia fama han ritrovato smalto grazie a nuovi abitanti e nuove attività, il problema è quando la massificazione turistica distorce gli equilibri urbani e spinge a riconvertire le abitazioni in alloggi turistici di breve periodo. Questo caso da vita all’erosione progressiva delle abitazioni a disposizione dei cittadini, generando un problema abitativo. Un problema abitativo che si sente forte e chiaro soprattutto nelle città a forte trazione turistica. In Italia e all’estero.

Può il turismo permettersi di intaccare il diritto alla casa? No, non può (più) permetterselo.

Come non può più accettare che si nuoti tra la plastica alle Maldive, o che nuove costruzioni per resort intacchino coste e oasi naturali.

Non può più permettersi di svuotare i centri storici, gli unici luoghi nei quali il lockdown continua, perchè non ci abita più nessuno.

Se si tornasse a provare stupore e meraviglia per il viaggio anzichè abbuffarsi di esperienze lampo esattamente come in un fast food?

Ma come? Imparando il Rispetto è forse la prima cosa che mi viene in mente. Rispetto. Viaggiare significa questo, integrare, assaporare, rispettare persone, luoghi, sapori, idee. Viaggiare significa condividere.

Dal 1995 in poi, siamo stati dis-abituati all’esperienza genuina del viaggio, abbiamo cambiato le abitudini in base alle aste sui prezzi delle low cost, ma soprattutto dagli stock “hospitality” delle grandi piattaforme come Booking, Expedia, Air bnb che mentre ci vendono camere di lusso a prezzi stracciati, mettono il cappio intorno ai proprietari…a meno che non siano grandi e grossi e con molti capitali.

Rispetto per il lavoro. Talvolta precario.

Rispetto.

Per affrontare questa enorme crisi turistica, ancora un volta, ci vuole una strategia di lungo periodo, una struttura statale elastica e con una visione, molte belle teste -possibilmente giovani – che si mettano insieme per trovare soluzioni e soprattutto una coscienza profonda di voler cambiare le carte in tavola per far sì che il comparto generi danaro e al contempo rispetti e valorizzi. Impossibile? No, dipende da che management politico muove le mosse: se hai una linea olistica che ha la buona creanza di mettere insieme ambiente, cultura, economia, finanza, lavoro allora forse riesci a regolamentare (finalmente) le distorsioni puramente figlie del liberismo e cannibalismo che sta spesso dietro alle start up, così come a liberare quella che io definirei “l’energia delle formiche” ovvero le migliaia di attori che giocano un ruolo nel settore turistico e che sono fermamente convinti di voler fare il loro mestiere in modo sostenibile.

Si può fare? Certo. Tutto sommato Air bnb ha un ottimo modello per macinare soldi, ma lo ha messo nelle mani del diavolo. Si può fare la differenza modificando i valori al centro, mettendoci le persone che vivono un territorio, le prime a dover essere protette perchè è come se fossero i dipendenti di una azienda: sono i tuoi primi ambassador se li rispetti. E poi chiaramente il territorio in tutta la sua complessità.

Rispetto. Non ci farà del male spendere 50 o 100 euro in più a viaggio, sapete. Tanto un viaggio è vissuto come se fosse un “portafoglio” e ci mettete tutto dentro, così funziona nella contabilità mentale. Quei 50 o 100 euro in più non vi fanno la differenza, ma la faranno al sistema e comunque sia come’era il detto? Chi più spende, meno spende? Perchè il turismo low cost, così come l’abbigliamento low cost fa così male? Ha senso sceglierlo ancora?

Rispetto.

Accolgo quindi con piacere il pensiero di Manuela Vitulli in questo articolo. Un punto di vista arricchente.

“Questa pandemia ci insegnerà a essere meno esterofili, a guardare davvero quel che ci circonda e ad apprezzare finalmente la nostra Italia. Appena sarà possibile, per i nostri viaggi sceglieremo l’Italia.”

In questi due mesi abbiamo ripetuto fino alla nausea queste parole, ribadendo all’infinito questi concetti e facendo previsioni su quello che sarebbe stato il futuro del turismo, almeno in Italia. Eppure, all’annuncio dell’ipotetica riapertura delle frontiere il 3 giugno, sui social vedo che è già partita la disperata ricerca dei voli su Skyscanner, così come l’organizzazione delle vacanze estive all’estero. Un atteggiamento che molti condanneranno, eppure io credo che anche questo fosse prevedibile. 

Complice il web (che ha reso la prenotazione dei viaggi “a portata di click”) e le compagnie low cost, siamo stati abituati a sentire il mondo nel palmo di una mano, a leggere articoli su coraggiosi nomadi digitali, a leggere la parola wanderlust persino nel dizionario italiano.

Figli di questa era impregnata di connessioni (internet e aeree), possiamo accontentarci del turismo di prossimità? Possiamo definirci viaggiatori se le nostre vacanze più esotiche vedranno come destinazione la Puglia o la Sicilia? Che ne sarà dei wanderluster?

È evidente che non bastano poco più di due mesi per modificare le necessità di chi ama viaggiare, nemmeno chiedendo loro di aiutare il comparto turistico italiano. Nemmeno spiegando loro che prendere un aereo, adesso, potrebbe essere pericoloso. Sui social sono tantissime le persone che, viaggiando per urgenze lavorative o familiari, mostrano scene di panico raccontando come le misure di sicurezza, in volo, siano ancora scarse. 

Non comprendo questa urgenza, ma non condanno. (io sì! Ndr)

Devo però fare una confessione. Sebbene io abbia basato il mio lavoro sui viaggi e sulla facilità degli spostamenti, sebbene io abbia voglia di scoprire tutta quella parte di pianeta ancora da me inesplorata, non voglio tornare al mondo di prima. Non mi manca quella vita, non mi manca quel modo di viaggiare. Voglio un mondo diverso, migliore e, soprattutto, più lento. 

Viaggiare meno, ma scoprire di più. 

Negli ultimi anni spostarsi era diventato così semplice che i viaggi si erano fatti bulimici, spesso mordi e fuggi. E quella che chiamavamo sindrome di wanderlust spesso era solo superficialità. Così come il conteggio dei Paesi visitati, quando magari di un Paese si era visitato solo l’aeroporto. Eppure più quel numero cresceva e più aumentava l’ego del viaggiatore. 

Mi sono sempre rifiutata di contare i Paesi visitati per poi vantarmene, ma devo ammettere che per questioni lavorative anche io sono stata schiava dei viaggi bulimici e superficiali. A volte mi sono sentita in un tetris, alla ricerca dell’incastro perfetto tra un viaggio stampa e un evento. Quella frenesia, tutt’altro che sostenibile sia a livello fisico che psicologico (e direi anche ambientale), a me non manca affatto. 

I viaggiatori del 2020, soprattutto in epoca post Covid, devono essere consapevoli, responsabili. Ce lo chiede il pianeta.

Quindi sì viaggiare, ma meglio. Rispettando il pianeta (anche se dovesse costarci qualche decina di euro in più), entrando in punta di piedi nelle culture a noi nuove. Prendendoci del tempo per lasciar sedimentare le esperienze, senza catapultarci subito in qualcosa di nuovo. 

Imparando a conoscere il valore dell’altro partendo, ad esempio, dall’altra metà dello stivale. Perché io trovo inconcepibile che un viaggiatore italiano, pur sparandosi migliaia di chilometri in aereo, non si è mai chiesto cosa ci sia dall’altro lato dell’Italia.

Impariamo a rispettare le culture dei Paesi stranieri ma impariamo, ancor prima, a rispettare la nostra, di cultura. La nostra gente, le nostre tradizioni, la nostra gastronomia, le nostre spiagge, il nostro mare. 

Bisogna ripartire dalla base. Dando al viaggio il giusto valore.

Less is more può essere il giusto claim. Meno viaggi, ma ben fatti e – per quanto possibile – sostenibili. 

Manuela Vitulli

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