Quando ero piccola volevo fare la giornalista.
Facevo finta di fare il telegiornale, volevo diventare come Lilli Gruber. Ricordo vividamente quando presi questa decisione, era inverno e guardavo verso il giardino. Con il senno del poi e mettendo insieme gli avvenimenti storici che ho vissuto nella mia vita, era probabilmente il Novembre del 1989 quando in Tv si vedevano i giornalisti parlare e raccontare cosa stava accadendo a Berlino: cadeva il muro, si apriva una nuova era e nell’immaginario di una ragazzina di undici anni era qualcosa di pazzesco, determinante. E lo è stato.
Volevo raccontare. Ci son riuscita?
Non sono in Tv, nemmeno lontanamente in una posizione come quella di Lilli Gruber, però sul cercare di raccontare qualcosa che abbia a che fare con la contemporaneità ci siamo.
Narrare nel XXI secolo significa fare a botte col rumore.
Prima di tutto dobbiamo fare i conti con l’affollamento di media e con la contemporaneità dei messaggi, ecco perchè narrare oggi è mille volte più complesso rispetto a trenta e passa anni fa, sebbene molto più stimolante.
Una cosa, però, è rimasta uguale. Cosa? Vi starete chiedendo. Creare connessioni condividendo esperienze, trascinando emozioni.
Che fine ha fatto la parola storytelling?
Qualche anno fa era l’ingrediente favorito di qualsiasi discorso marketing oriented, brand oriented, product oriented e vattelapesca oriented oggi si è notevolmente ridimensionata la discussione ossessivo compulsiva sul come raccontare persone, cose e brand, ma in compenso siamo inondati di belle storie. Sapevo che i podcast avrebbero irrotto nella nostra quotidianità e così è stato e l’avanzata dei podcast è solo una parte di questo infinito flusso di storie nel quale siamo immersi ogni giorno.
Ma come facciamo a raccontarci noi?
Se la frequenza dei messaggi è così alta, se la concentrazione è così elevata, come facciamo a catturare l’attenzione?
Come facciamo a comunicare ciò che facciamo, il nostro lavoro, il nostro marchio?
L’ho scritto sopra, raccontiamo belle storie. Continuare a farlo nel giusto contesto è la chiave, punto stop, possono dirvi quello che vogliono, ma così è.
Ciò che fai o vendi è del tutto ininfluente fino a che non acquista significato per la tua audience.
Gli esseri umani interpretano la realtà attraverso l’esperienza acquisita,
alla storia che hanno già letto, visto, vissuto. Stereotipi e archetipi sono dentro di noi anche se proviamo a essere fuori dagli schemi… spoiler: non lo sei, anche chi sta fuori dagli schemi rispetta un archetipo.
Questo esercizio creativo narrativo porta a un’altra felice conseguenza: differenzia.
Ci costringe a osservare e ascoltare, “craving for stories” è un esercizio che coinvolge tutta l’organizzazione. E differenziarsi è il Santo Graal strategico, i valori che individuiamo sono univochi e un’opportunità di racconto.
Raccontare è un’arte, si può imparare a farlo, ma è faticoso.
Richiede tempo e pazienza perché significa costruire connessioni attraverso le esperienze proposte e significa anche mantenerle queste connessioni, significa scegliere i visual più corretti e i copy che possano evocare emozioni alla platea più ampia possibile.
Fare ciò è complesso, intellettualmente e strategicamente.