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Nel 2019 ho avuto il piacere di lavorare a un progetto di consulenza per un ristorante di medio-alto livello di Milano. Sono stati sei mesi tosti nei quali si è dovuto lavorare sodo per aggiustare il tiro. La storia non è stata a lieto fine, succede, nonostante le migliori intenzioni.

Ciò che ho imparato è stato tuttavia prezioso e ci sono alcuni aspetti che voglio condividere perchè potrebbero essere utili in situazioni di crisi, quella era una crisi e al momento il settore ristorazione ha sofferto parecchio. Quindi pronti via!

Partiamo dal Mercato.

C’è sempre da considerare bene in che ambiente viviamo con il nostro business. Un ristorante in una grande città vive in una situazione di grande concentramento. A Milano la crescita dal “dopo Expo” è stata del 22,9% per un totale di 5.856 attività di ristorazione attive (Dati camera di commercio 2019). Tra ristoranti, bar, mense e società di catering Milano conta 10.969 imprese. Un bel numero.

C’è spazio per tutti? Quasi. L’esercizio di differenziazione deve essere davvero importante e non sono davvero ammessi errori.

Cosa distingue un ristorante o un locale di successo?

La qualità del cibo? La storia che racconta? Lo chef e la brigata di cucina? La comunicazione? L’esperienza offerta? La zona? Queste sono alcune delle variabili da considerare e servono tutte, ma ciò che ho capito è che la programmazione e il controllo economico sono gli aspetti dai quali cominciare a pensare sin dal momento zero. Molti ristoranti di successo sono investimenti veri e propri dove la bravura dello chef sarebbe nulla senza il controllo di un management. Alcuni sono molto famosi e non hanno una brigata stellata, sono modelli di business che han fatto girare bene tutti gli ingranaggi.

Può sembrare scontata questa osservazione, ma non lo è. Perchè?

Perchè nel caso della ristorazione anche la decisione rispetto le dimensioni delle sedie ha il suo peso nel fatturato. Il numero di fuochi e lo spazio dedicato alla cucina. I costi fissi sono sempre “monstre” nel business della ristorazione e quelli devi solo abbatterli o ti sbranano, mentre i costi variabili fluttuano come farfalle e controllarli richiede un esercizio quotidiano.

Un bel casino

Ma non finisce qua. Se dai da mangiare alle persone, tu lavori nell’area più atavica dell’essere umano! Nutri. Puoi anche essere “lo zozzo” che vende i panini fuori dalla discoteca, ma volente o nolente se vuoi che tornino devono sentirsi pienamente appagati. Poi c’è tutto il discorso relativo alle esperienze, preferenze, gusti, sperimentazioni, necessità.

Insomma, per farla breve la ristorazione è un sistema complesso, legato alle emozioni e al comportamento.

Chi sei, cosa fai, come lo fai, influisce anche nella percezione del prezzo che le persone sono disposte a pagare.

La stessa birra la si può trovare a 2 euro al chiringuito sgangherato vicino alla spiaggia, così come a 5 euro nel terrace di un hotel rinomato. Non daresti mai 5 euro al chiringuito sgangherato, dovesse accadere lo si vivrebbe come un furto, vero? Quindi nella ristorazione anche la “disponibilità a pagare” varia a seconda di vari fattori. E la situazione si complica e arrovella, ancora di più quando improvvisamente il flusso di persone crolla e i costi fissi cominciano a mostrare anche i denti da latte che han perso.

Il Menù.

Il menù è uno strumento strategico sorprendente.

Ci si sofferma sempre sulla sua forma, ma lì dentro ci sta un universo di programmazione e controllo senza pari.

Ma quindi?

Se non sapete da che parte girarvi, partite dal menu!

Vi siete mai chiesti, seriamente, perchè gli stellati quando annunciano il cambio di menu sembra sempre Natale? Perché è la risultanza di un bel tot di ricerca e test su nuovi piatti? Anche, ma non solo, è la risultanza di un processo più vicino al “design thinking”.

Il menù deve essere un esercizio creativo ed economico. Il menù è la bussola che vi indicherà la direzione e vi costringerà a fare attenzione, cambiare rotta o aggiustare il tiro.

Se fino a l’altro ieri potevate contare su un flusso di persone rilevante che vi permetteva di stare senza troppi pensieri, ora è necessario rivedere tutto e perchè no, rivoluzionare!

Il menù deve essere efficiente.

Significa che il bilanciamento di ogni piatto sarà ottimale se:

  • Raccontate la creatività e la visione del locale. Quindi non inserite tutto, ma il giusto. Puntate sulla qualità. Raccontate gli ingredienti. Aggiungete elementi insoliti. Questo è il periodo della sperimentazione, siamo usciti da mesi nei quali parevano esistere solo i fornelli e quindi se si sceglie di mangiare fuori, deve essere speciale. Inserite nel menù anche i fornitori, premiateli e considerateli, più strategicamente parlando: Partner. Entrate in quest’ottica, fateli entrare anche nel ristorante se possibile! Con spezie, cioccolato, pasta o riso si può fare.
  • Torniamo alla questione introdotta nel primo punto: non inserite tutto. Sfrondate il menu, scegliete accuratamente come stringere l’offerta per cercare di abbassare i costi variabili pur mantenendo la qualità. Scegliete piatti a basso impatto energetico (se possibile) o che possono essere abbattuti e conservati per rendere più veloce il servizio! E passiamo al prossimo punto.
  • Efficentate l’operatività in cucina. Accorciare i tempi di servizio vi permetterà di recuperare tempo per aggiungere in prenotazione uno slot orario in più. Considerate l’obbligo di prenotazione come una grande opportunità per dare un “tempo al tavolo”. Considerate davvero con grande attenzione questo aspetto nella prova menù, datevi un ciclo operativo preciso: imparate da Mc Donald’s. Può sembrare una bestemmia, ma non lo è. Sin dagli inizi della sua storia Mc Donald’s studiò con attenzione i processi di trasformazione degli alimenti e capì che servire patatine era più veloce di un qualsiasi altro contorno, non ha scelto perchè le patatine erano più golose, ma perchè erano più efficienti. Con le dovute differenze, fate lo stesso, usate la creatività. Dato che il tempo deve essere massimizzato e non è possibile fare pressione al cliente perchè se ne vada, mantenete l’esperienza, ma in tempi più corti che siano impercettibili e accettabili per il cliente, ma vitali per voi.
  • Sfruttate la necessaria digitalizzazione del momento (QR code o affini) per rendere il menu interattivo e proattivo. Sfrutattelo come un momento di racconto, approfondimento e interazione coi clienti. Ma soprattutto sfruttate questa “libertà dalla carta” per poter apporre modifiche ai piatti nell’ottica dell’efficentamento. Studiate i dati che vi arriveranno dalle app e dalle piattaforme che utlizzerete per capire cosa viene ordinato di più, cosa funziona meno e dove si può rimediare. Se è necessario sostituite o togliete. Un menù più mobile del solito può essere interessante e si deve sfruttare nell’ottica di ottimizzazione delle risorse: se trovate degli ingredienti a buon prezzo e buona qualità potete eventualmente modificare molto rapidamente il piatto, posto che questo non abbassi la “risposta della brigata”. Se il risparmio non compensa la fatica della brigata, lasciate perdere.

Quelli appena elecanti sono alcuni degli obiettivi strategici che si possono sviluppare e monitorare col menu.

Non tutti i locali possono fare questo tipo di ragionamento, ma quasi tutti!

C’è sempre qualcosa che non è pienamente efficiente e può essere modificato. Dire “ho sempre fatto così” non vale, soprattutto adesso.

Altro punto per me fondamentale è il seguente: considerate con molta attenzione la comunità nella quale fate business.

Perchè? Il Take Away è più sostenibile della delivery effettuata con i grandi player come Deliveroo, Just Eat etc…soprattutto se non avete mai sfruttato queste piattaforme. Per vincere nella delivery è necessario investire parecchio budget. Tanto. E non ne vale la pena nel 50% dei casi.

Non vi venga in mente che basti aprire la vostra vetrina per ricevere mille ordini. No. E, ripeto, l’investimento è importante e l’impegno altrettanto coinvolgente.

Quindi? Quindi FATE RETE. Innovate e scardinate lo strapotere delle delivery offrendo un servizio più sostenibile anche umanamente.

Fare rete significa, per esempio, unire le forze dei locali della via o del quartiere per generare un modello attrattivo e funzionale per gli abitanti stessi.

Una best practice la sta attuando Cascais, il comune dove abito, con l’iniziativa del Barrio Amarello (quartiere giallo). In sostanza è stata istituita una zona pedonale, dove i vari bar e ristoranti possono mettere a distanza debita i vari tavoli. Tutti gli esercizi commerciali sono coinvolti nell’iniziativa che promuovono in modo congiunto.

Sono certa che il modello può essere ripreso anche da paesi e città in Italia, questo per aiutare soprattutto i locali più piccoli (vi assicuro che qui a Cascais sono tutti parecchio piccini) che hanno pochi tavoli o che tendevano ad “assembrare”.

Come dico sempre SHARING IS CARING e unendosi si ha più potere e più voce, pertanto perchè non dialogare coi vicini in modo creativo?

Da questa crisi non se ne esce da soli, avrete bisogno di tutta la filiera: dai fornitori ai concorrenti.

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