Cultura, Cambiamento, Comunità, Comunicazione.

Sono delle parole che ricorrono spesso nel mio vocabolario, parole che si sono insinuate prepotentemente nelle discussioni delle ultime settimane cui ho assistito.

Tra la Milano Design Fall Week e il festival delle Comunità del Cambiamento nonchè If Italians Festival al Pierlombardo, c’è stato modo per confrontarsi e ascoltare pensieri e parole calibrate e intelligenti.

C’è speranza la fuori! Le comunità del cambiamento esistono, il problema è che la loro voce è troppo educata rispetto alla caciara populista che fa molto bene il suo mestiere ossia “cancellare le prove di vita intelligente nel nostro Paese”

Cos’ho imparato da questa full immersion:

a) esistono sacche di resistenza attiva e proattiva;

b) esistono individui fortemente centrati verso l’evoluzione del sistema e a piccoli passi producono risultati;

c) si sente un bisogno fisiologico di cultura, laddove essa prospera e si palesa le persone si aggregano;

e) non è vero che le Istituzioni son sordo-mute, ma il dilemma sta nella questione di come comunicare con loro, cosa dire e come dirlo

La cultura è un asset strategico per l’Italia, vedo più futuro lì che in tutto il settore automobilistico perché smuove non solo creatività e arte in purezza, per così dire, ma si trascina dietro anche i suoi “derivati”  e i territori di appartenenza.

La cultura è quindi un affare da miliardi di euro, mica spiccioli. Ora, ragionare con i vecchi compartimenti stagni e sindacali ci limita la visione di lungo periodo perché incasellarla, questa cultura, è impossibile.
Se per decenni abbiamo lasciato questa parola e il conseguente e dirompente potere economico che contiene in un angolo, ora non è più così.

Viviamo tempi strani che saranno il preludio di un nuovo rinascimento, adesso come allora abbiamo solo da mettere l’uomo al centro e trovare illuminati mecenati che stanino i novelli Michelangelo dai loro studi (o coworking).

Serve anche collegare i centri di cambiamento, le best practice, organizzarli in modo da creare modelli sostenibili e scalabili, comunicarli, renderli non solo disruptive, ma anche sostenibili nel tempo.

Scalare la cultura
Sì può fare?

Nel 500 ci son andati giù pesanti con gli investimenti.
Ne continuiamo a godere tutt’oggi ergo i Medici ha  vinto a mani basse.

Ora però la creazione culturale comprende innumerevoli voci che non sono distanti tra loro, si sposano, si possono e devono unire ad esempio:io son brava a vedere delle strategie di comunicazione, altri son bravi a interpretare i numeri del web e a far i mondo che i codici generino esperienze, altri son bravi a fare i conti e portare tutto sotto l’algida egida dell’equity.

Collaborazione, cooperazione e condivisione di competenze.

Think outside the box talvolta sottende a un semplicissimo “volta la testa che a guardare sempre dritto non sempre è utile”.

Chi lo ha detto che c’è da spremere le meningi per trovare soluzioni innovative?  Sorprendentemente basta voltare lo sguardo.

Le istituzioni non ha no soldi?
E noi cerchiamo gli angeli.

Gli startupper son scappati di casa?
E noi prendiamo un camper

I marketeers pensano solo ai budget?
E noi li mettiamo a fare i panini con la mortazza.

Serve unire i puntini. Pendere una penna e costruire un disegno di insieme che sia credibile e connesso dal numero zero a infinito.

Nei puntini di cui parlo sono comprese anche le comunità o i singoli individui, così come le imprese e le organizzazioni. Non è un mistero che una delle realtà culturali più attive in Italia sia privata e americana ossia il Guggheneim, anche le Gallerie d’Italia son un ottimo esempio -italiano- se si vogliono citare le realtà più grosse. Alla base di tutto ci sono degli investimenti ben calibrati e con una visione lunga. Inoltre comunicano bene, benissimo!!

La questione comunicazione è un tasto dolente, è necessario costruire dei percorsi che rendano la cultura un bisogno primario, inserirla nella vita quotidiana, renderla non solo visibile, ma anche appetibile e non solo quando si tratta di grandi eventi.

Il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano è una realtà che conosco e che ammiro per quello che fa ogni giorno. Le location stesse della cultura sono attrattive e certamente passibili di essere un “investimento redditizio”, una fonte di fatturato.

Cultura e Comunità, anche qui varrebbe il motto americano Give Back to the Community. Io, azienda o privato con budget, metto a disposizioni i miei soldi e le mie competenze per dare indietro alla comunità cui appartengo una fetta della mia fortuna. Usando questa filosofia e allargandola a un parterre ampio su tutto il territorio nazionale potremmo veder rinascere luoghi perduti.

Le aziende, ad onor del vero lo fanno, pensiamo a Tod’s e al Colosseo, benché in quel caso l’attività sia stata conservativa, in ogni caso è innegabile che il ritorno di immagine per l’aiuto alla ristrutturazione sia stato incalcolabile e imponente.

Anche il singolo o l’influencer del caso potrebbero effettivamente dare una mano. Più selfie con opere artistiche e meno con la bocca arricciata (e son stata brava a definire la posa, vè) è una questione di educazione civica, e, certamente una questione culturale, la bellezza genera bellezza e bene, un concetto piuttosto socratico però innegabile.

Certo che se i singoli invece di essere proattivi attendono che la scienza venga infusa dallo Stato allora, no, rimarremo al palo per sempre. Oramai i tempi sono così fluidi e frammentati che anche il concetto stesso di cultura istituzionalizzata e istituzionale è superato, le subculture artistiche come la street art ce lo hanno dimostrato ampiamente ossia costruire comunità intorno a un’idea artistica non solo è vantaggioso, ma anche coinvolgente.

Profonde riflessione vanno fatte.

Puntare sul cambiamento significa per una paese come l’Italia risfoderare un potenziale inespresso che con questa nuova rivoluzione industriale ci vedrebbe primi al mondo, senza dubbi.

Cambiare implica scelte importanti come lasciare che i più “vecchi” non in senso degli anni, ma nel senso della mentalità lascino il passo a chi sa vedere oltre ed è capace di creare connessioni cruciali tra i know how dei quali siamo portatori sani come l’orientamento alla progettualità/design, la connessione coi territori e il loro potenziale in termini di offerta food&beverage  nonché naturale.

Queste sono chiaramente riflessioni/visioni personali, si torna sempre alla questione di intercettare le best practice e renderle esempio scalabile. Fortunatamente ce ne sono, ci sono persone che stanno davvero cambiando le cose e lo fanno alla faccia di chi non ci crede più e preferisce dare sempre e comunque contro.

Per tutti questi negativi dico: esistono le controculture e vi seppelliranno, stanno sulle linee di crescenza -concetto bellissimo appreso da Ilda Curti a Rena- e faranno di tutto per far crescere le ossa della Giovine Italia in modo dritto.

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